CHE GRAN DONNA CHE ERA L’IMODE

Oggi avrebbe compiuto cento anni l’Imode.

Che gran donna che era! Io di donne così ne ho incontrate poche nella mia vita e spiegare il perché non è mica facile. A partire da quel nome lì, che nessuno capiva, che nessuno conosceva. Imode Monica e tutti scambiavano il cognome per il nome e lei non che si arrabbiasse, ché di fatto non so nemmeno se ne fosse capace, direi che più che altro restava sorpresa. Non si capacitava del fatto che la gente non capisse il suo nome, “ma come?” – diceva – “a gh’nera ‘na mucia (ce n’erano tantissime) di Imode tra Fodico e Meletole!” Tra Fodico e Meletole. Due strade che si intersecano nel bel mezzo del nulla di una bassa che più bassa non si può. Dove le sarabighe (zanzare) e la nebbia la fanno da padrona sempre e le persone chiamano le figlie Imode per non dover correre il rischio di confonderle con i santi del calendario. L’amavo, l’Imode, prima di tutto perché era la nonna dell’Albe e ho capito da subito che non avrei mai potuto amare lui senza innamorarmi anche di lei. Ma l’amavo anche perché sapeva la vita. La conosceva in ogni sua minima sfaccettatura e te la raccontava tutta con un’ironia straordinaria, che saresti rimasta ad ascoltarla per ore, trasportata in quel suo crocevia di fossi, biciclette, risate, miseria, fame, guerra, morte, balere, risaie, fabbrica. Odiava il Duce, i preti e le bisce, eppure non era capace di odiare nessuno. A 12 anni si era fatta impagliare per dimostrare qualche anno in più e poter partire per la stagione di monda. Andava in Piemonte a spaccarsi la schiena, rovinarsi le gambe, cuocersi i piedi e le mani in una spanna d’acqua che nascondeva quelle bisce che lei tanto detestava e che la facevano venire i sgrisor e stare male dimòndi. Ma non aveva mica alternativa. La vita che conosceva lei era fatta di sacrifici e si misurava con una felicità che solo la fatica poteva restituire così intensa, così vera. Si è sposata con un paletò marrone che era già incinta del suo primo figlio Vittorio e si è ritrovata in una casa padronale con un mattarello in mano e più di 20 bocche da sfamare. Ma era felice, innamorata del suo Walter e di quella vita che le sembrava sempre bella, anche in tempo di guerra, anche con le bombe sulla testa. Da sposa lavorava nei campi e Vittorio lo metteva in una cassetta da uva e se lo portava con sé tra i filari e il melgòn (mais). Lo ha fatto finché quella stessa cassetta non le è servita per metterci dentro Pietro, il suo secondo genito, mio suocero. Ha tirato su due figli, da sola, perché il suo Walter non aveva neanche 40 anni quando un brutto male se lo è portato via, divorato dal dolore. La sera del rosario qualcuno ha pensato bene di rubarle anche tutte le galline del pollaio, perché, come diceva lei, le disgrazie non vengono mai sole, ma intanto che ne affronti una, sei più pronta per superarne anche un’altra e non te ne accorgi neanche. Ché tra la morte di un marito e le galline rubate non c’è di paragone! Era così l’Imode. Si tirava su le maniche anche quando indossava magliette a maniche corte. Da vedova ha vissuto la fabbrica, e in quei tempi si diceva che le donne in fabbrica erano facili, ma erano tutte balle! “Ché gli unici facili a dire delle balle erano i padroni, che avrebbero voluto che fossimo facili per farsi meglio i comodi loro, anche se tanto se li facevano lo stesso, quei porci”. Era dura la fabbrica, ma i suoi bambini dovevano studiare, non come lei che era femmina e non aveva potuto e allora per loro ha cercato di trovare del bello anche là dentro. E l’ha trovato. Erano le sue donne, le sue amiche. Quelle che poi l’hanno accompagnata fino alla fine, insieme alle sue inseparabili vicine di casa. Quelle con le quali faceva filotto tutti i giorni. Passavano insieme giornate intere, senza fare nulla di nuovo, eppure avevano sempre qualche novità da dirsi, qualcosa da confidarsi. Ed era bello sedersi in giardino con loro e ascoltarle chiacchierare! Lo considero un privilegio raro. Raro come quel nome, ché io non lo so se è vero che tra Fodico e Meletole ce n’era ‘na mucia, come diceva lei … ma per me di Imode c’era solo lei e mi manca, quello sì, ‘na mucia!

La foto è ripresa da https://www.storiaememoriadibologna.it/vita-delle-mondine-di-medicina-2215-evento

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